Il rispetto è un profumo

di Claudio Cernesi, counsellor e formatore Kaloi, docente di Relazioni interculturali presso l’Università di Modena e Reggio Emilia

Nel 1986 mi trovavo nella Casamance Senegalese, ai confini con la Guinea Bissau.

Allora era buona norma avvisare prima di arrivare in un villaggio guineiano. In caso contrario si era certi che i ragazzini, alla vista di un uomo bianco, avrebbero dato prova della loro abilità nel centrare un bersaglio con le fionde (abitudine acquisita al termine del colonialismo portoghese).

Un pomeriggio mi dimenticai di avvisare e dovetti girare la moto in fretta e furia e darmi ad una fuga precipitosa. La mira di quei ragazzi era veramente eccellente.

Il pregiudizio e lo stereotipo sono la via più semplice per farsi una prima idea dell’altro. Se l’altro è diverso, la risposta più ancestrale è la diffidenza. Esperienze negative (vere o percepite) trasformano la diffidenza in paura. Diffidenza e paura generano difesa, distanza, rifiuto fino al respingimento e all’allontanamento violento. La differenza diventa stigma, una condanna senza appello e senza distinzioni.

Il rischio di ogni risposta ancestrale è quello di sbagliarsi grossolanamente. Non ero portoghese ed ero lì per aiutare. L’immagine precostituita dell’altro può essere molto lontana dal vero ed essere controproducente.

Un modo per andare oltre il pregiudizio verso i bianchi e rendere possibile l’incontro era avvisare: un verbo che racchiude un processo. Per avvisare è necessario riflettere, progettare, programmare, tenere conto di sé e dell’altro, comunicare, negoziare, verificare il reciproco consenso, costruire una relazione di fiducia, preparare il risultato dell’incontro e della relazione.  Una buona sintesi dell’approccio interculturale.

Un’attività che proponevo nelle scuole elementari di Modena è quella del nuovo compagno di banco.

  • Domani arriva un nuovo alunno. Chi lo vuole vicino di banco?
  • Da dove arriva?
  • Dal Marocco (qualcuno dice sì)
  • Dall’Albania (quasi tutti dicono no)
  • Dagli Stati Uniti (tutti dicono sì)
  • Perché dite tutti sì allo statunitense?
  • Perché è come noi. Perché non è extracomunitario. Non ne abbiamo paura.
  • Capisco, intanto un chiarimento: extracomunitario vuol dire che non è della Comunità Economica Europea. Quindi anche uno statunitense è un extracomunitario. Ma parliamo della vostra paura…

Iniziavamo così a lavorare sui pregiudizi, riconoscendo innanzitutto la legittimità della paura. Un’emozione non è né buona né cattiva, semplicemente è. Si è formata in una storia, emerge dentro di noi. In quelle classi si respirava la presenza di una parola adulta che veniva ascoltata dai ragazzi perché anche la loro parola veniva ascoltata. Le porte dell’apprendimento si aprono dall’interno. Chi si sente accettato come persona, può aprirsi al dubbio verso le sue convinzioni, i suoi comportamenti. Chi non si sente accettato e percepisce una forzatura al cambiamento, alza gli scudi della resistenza. Per questo la via maestra dell’educazione è accogliere i ragazzi e le persone, avvicinando pensieri ed emozioni con un dialogo non giudicante. In questo modo è possibile costruire quel clima umano in cui può avvenire lo scambio delle reciproche differenze. Tommaso ha le orecchie a sventola, Mirko è basso, Adisa ha la pelle nera, Amhed parla una lingua strana, Carmelo ha un altro accento, il fratello di Tina è omosessuale, Kwame ha i capelli con un ciuffo, Daniele è un ragazzo down, Naila porta il velo, Mario non ha lo smartphone.

L’esperienza in centinaia di scuole mi ha fatto incontrare classi molto difficili e altre accoglienti, presenti, vivaci, curiose. Stessa provenienza sociale, analoga percentuale di differenze, stesso plesso, a volte stesso corridoio. Com’è possibile? La mia osservazione e diverse ricerche portano a dire che la differenza è generata dal modo in cui l’adulto costruisce la relazione, convergendo su due aspetti precisi: una relazione di fiducia e stima e la condivisione di un piano morale. Nelle classi che funzionano si avverte profumo di rispetto.

Il rispetto è un profumo: o lo senti o non c’è dice un proverbio dei Pulaar, nomadi del Sahel. Il rispetto e l’ascolto si apprendono nel rispetto e nell’ascolto. Attraverso questo è possibile condividere un quadro di regole che orienta il gruppo.  Una regola presidia un valore. L’interiorizzazione della regola porta a fare proprio il valore difeso, costruendo una morale di gruppo. Così come non derido Tommaso per le sue orecchie, non derido Adisa per il colore della sua pelle, Amhed perché parla una lingua strana, non derido Tina per l’omessualità del fratello. Fare educazione interculturale è lavorare sui pregiudizi (tutti) per ridurre lo stigma delle differenze (tutte).

Approccio alla persona, pedagogia partecipativa ed educazione interculturale sono un’unica danza per creare un nuovo modo di stare insieme nella scuola e nella società.

È nel fare insieme che le persone si avvicinano e si scoprono facendo cadere steccati e barriere, costituendo gli spazi comuni di una nuova cittadinanza.

 

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