Adozione, un’esperienza

Cara Barbara, il cammino dell’adozione si è rivelato più difficile del previsto, a volte ci sentiamo scoraggiati e Carlo ha parlato di mollare. Non so più dove trovare le energie e cosa sia meglio fare. E’ stato così anche per te? Come hai fatto ad arrivare fino in fondo?

Milena

risponde Barbara Bravi, pedagogista, counsellor e formatrice Kaloi

Cara Milena,

adottare una bambina o un bambino è un passo importante, unico e ricco di emozioni.

La mia esperienza è iniziata nel 2009 e, come sai, sono diventata mamma nel 2014. Una gravidanza a rischio durata cinque anni. Due persone incinte: io e Massimiliano. La gravidanza adottiva è vissuta sulla pelle di entrambi, allo stesso identico modo. Il papà è agganciato alla mamma, sempre. Ad ogni visita, ad ogni appuntamento, ad ogni incontro preparatorio, ad ogni colloquio si va in due. Il ruolo del padre adottivo, durante l’attesa, va molto oltre la più affettuosa partecipazione nei nove mesi di una gravidanza naturale.

Vorrei condividere con te la nostra storia, i passi della nostra avventura a tappe, i percorsi in salita, le difficoltà affrontate e le risorse che ci hanno aiutato ad andare avanti nei momenti più scoraggianti. Per ogni tappa del percorso, ti mostrerò la nostra “cassetta degli attrezzi”, le risorse messe in gioco per affrontarla. Ogni tappa superata, una bandierina. Per raggiungere finalmente il traguardo più bello della nostra famiglia: l’arrivo di Francesca.

Come sai, abbiamo scelto l’adozione nazionale. I Servizi Sociali hanno svolto un ruolo importante di sostegno e accompagnamento. Viviamo in Emilia Romagna, siamo stati accolti bene con un programma intenso e impegnativo. Inizialmente abbiamo
frequentato un corso di quattro incontri, insieme ad altre coppie che aspiravano all’adozione. In questi primi passi l’impatto psicologico è notevole. Vengono sollecitate certezze e incertezze, bisogni e aspettative. Quelle legittime e quelle no. I dubbi e le paure vanno affrontati con coraggio. Il diritto primario è quello del bambino ad avere una famiglia e non quello della famiglia ad avere un bambino. E’ più facile da scrivere che da vivere profondamente. E’ una verità assoluta, anche per i figli naturali. Ma il genitore adottivo deve porsi di fronte a molte domande e affrontare onestamente se stesso. Il genitore naturale potrebbe non averne pensiero per tutta l’esistenza. Che nomi ha la motivazione che mi spinge? Come ho elaborato il lutto della mia sterilità? Ho accolto la sterilità del mio partner? Dov’è il mio dolore? Alcune coppie sono entrate in crisi, Massimiliano ed io siamo usciti rinforzati. Come coppia e come genitori. Abbiamo conquistato la prima bandierina.

Cassetta degli attrezzi: disponibilità ad entrare in contatto profondo con le proprie emozioni, i propri pensieri, valori, bisogni; apertura ad accogliere i vissuti senza giudicarli; coraggio di mettersi in discussione, di ridefinire le proprie aspettative, di digiunare rispetto ad alcuni bisogni; capacità di concedere lo stesso percorso al proprio partner.

Abbiamo cominciato la seconda fase: gli incontri di coppia con l’assistente sociale e la psicologa dell’Equipe Adozioni. Incontro e attesa. Incontro e attesa. Per un anno e molti colloqui. Infine abbiamo ottenuto l’idoneità all’adozione. Per altre coppie il tempo è maggiore, siamo stati fortunati.

Questa parte di percorso è stata in salita, animata da affiatamento ed entusiasmo ma, anche, da fatiche piccole e grandi. I colloqui erano condotti in serenità, con un’accoglienza benevola e informale ma è stato inevitabile sentirsi sotto al microscopio. Osservati, valutati. Da noi stessi per primi e severamente, a volte. Il rientro a casa ci vedeva attivati in mille pensieri. A volte muti e solitari, a volte condivisi, a volte discussi con dolore, a volte pianti. Accettare di andare benissimo imperfetti, così come siamo, è stata una meravigliosa conquista. Seconda bandierina.

Cassetta degli attrezzi: pazienza (tanta); fiducia; disponibilità a sfogliare le pagine della propria vita; apertura allo stupore nella conoscenza di parti di sé, del partner, della coppia; disponibilità ad accettare i propri limiti e quelli del partner; coraggio; apertura alla scoperta di nuove risorse e di imprevisti talenti; tenacia; memoria del traguardo che si desidera raggiungere insieme.

Depositiamo l’idoneità all’adozione al Tribunale dei Minori dell’Emilia Romagna. Copie, fotocopie, altre fotocopie. La terza fase è il tour burocratico. Noioso ma necessario. Non esiste un centro unico informatizzato  che coordina e comunica la nostra disponibilità ai diversi Tribunali. Dobbiamo inviare noi, una ad una,  l’intera documentazione fotocopiata ad ogni Tribunale dei Minori dei capoluoghi di (quasi) tutta Italia. Ci sentiamo come naufraghi che preparano con cura e affidano alle acque il loro messaggio nella bottiglia. “Noi siamo quì. Conoscete un bambino o una bambina che ha bisogno di una famiglia? Chiamate.” E loro chiamavano. Per conoscerci direttamente, procedura necessaria per accettare la documentazione spedita. E noi andavamo. In tutta Italia. Volentieri, anche se estenuante, costoso e se il lavoro ne risentiva. In questa fase si vive sospesi, in attesa; speri ma sai che potrebbe non accadere nulla. Dubiti. Servirà tutto questo? Il traguardo c’è? Dove, che non vedo?
Dopo 10 mesi il Tribunale di Napoli ci convoca per presentarci una possibilità. Terza bandierina, rosa! Siamo al settimo cielo e non riusciamo a dormire.

Cassetta degli attrezzi: nervi forti; speranza; fantasia e intuizione per orientarsi nei diversi contesti burocratici; tenuta di fronte alle difficoltà, alle delusioni, alle assurdità; disponibilità agli spostamenti; accettazione di essere “fuori fase” con il partner: uno sale, l’altro scende in momenti e periodi diversi.

L’appuntamento per conoscere “il caso” apre il cassetto dei sogni. Immagino sia così quando una donna viene a sapere di esser incinta, dopo averlo tanto desiderato. Parte il film. È una fase delicata in cui il sogno di diventare “quella” famiglia può portare a sottovalutare i bisogni del bambino, della bambina.

Mamma e papà possono avere desideri e disponibilità diverse. Esattamente come in una gravidanza naturale ma non è la stessa cosa. I genitori adottivi non possono permettersi proiezioni private, agende nascoste. E’ importante parlarsi subito, accogliere, lasciare scorrere le emozioni, non fermare, condividere, concordare, aiutarsi reciprocamente a restare con i piedi per terra. Andare con cautela e delicatezza estrema. Per il bambino, la bambina, la madre, il padre, la nuova famiglia che forse ci sarà ma è ancora sospesa e incerta come una bolla di sapone.
Usciamo dal Tribunale di Napoli con la nostra quarta bandierina, immersi in un silenzio vibrante di significati.

Cassetta degli attrezzi: sapere accogliere e gestire le emozioni; onestà nello stilare una “lista della spesa” di bisogni e possibilità della coppia; ascolto e comprensione; solidità di coppia; consapevolezza di valori; coraggio nel raccontarsela giusta. Fino in fondo.

Finalmente arriva il magico, unico momento dell’incontro con nostra figlia. Momento carico di promesse e attese. Una stanza con pareti bianche e quadri a tinte vivaci; un tavolo rotondo, un divanetto, un cesto con libri per bambini e qualche gioco tra cui un orso di peluche, bianco. Le emozioni si accavallano; mi sento serena, gioiosa, poi improvvisamente inquieta. Considero l’ipotesi di andare via, colta da un panico imprevisto. Massimiliano è in silenzio al mio fianco, non riesce a stare seduto e tormenta un mazzo di chiavi nella tasca dei pantaloni. Ogni tanto ci guardiamo, sorridiamo tesi, enigmatici. Cerchiamo le nostre emozioni nell’altro; quelle dell’altro dentro di noi.  Si apre la porta. Prima di vedere chi sta entrando sento le voci di una donna e di una bambina. Non so più se stare seduta o in piedi, se il cuore è fermo o sta per uscire dal petto. Il tempo rallenta, è sospeso. Vedo i suoi capelli neri, gli occhi scuri che ora sta abbassando. Mi sfiora un pensiero di cui mi pento subito: non parla come noi. Lei è grande, ha otto anni, ha la sua storia. Sento il cuore aprirsi, sorrido, sono pronta.

Non è stato un  colpo di fulmine.
L’amore è arrivato dopo, più tardi. Conoscendoci, frequentandoci. So che succede anche a molti genitori naturali, per noi è stato un tormento. Quasi fosse una colpa non essere folgorati. Massimiliano ed io non abbiamo avuto gli stessi tempi di coinvolgimento; anche questo è normale, ci avevano avvertiti. Saperlo, però, non ha alleggerito la fatica. Cercavamo una conferma. Disperatamente.  Sì sì, no no. Non potevamo rischiare incertezze. Il no che sia presto, il sì che sia per sempre.  Una responsabilità enorme per quella creatura che ora aveva un nome e un volto. Abbiamo passato molte notti inquiete. La quinta bandierina ci tremava tra le mani.

Cassetta degli attrezzi: tutte le risorse, ma proprio tutte e apertura all’abbandono, alla gioia, all’amore; coraggio di affrontare le paure e di lasciarsi andare alla fiducia e alla speranza.

Dopo  il primo incontro c’è un periodo di avvicinamento, passano mesi di conoscenza
reciproca, telefonate, incontri, prove di trasferimento, prove di distacco, nuovi equilibri. Arriva la nostalgia, il ricordo del volto, dei gesti, delle espressioni. Arrivano i sorrisi
pensando a lei, mentre faccio altro; il desiderio di rivederla, il bisogno di sentire la sua voce, di sapere come sta. Arriva l’amore.
Arriva il sì! pieno. Gioioso, felice, impaziente. Arriva il giorno in cui andiamo a prendere Francesca per portarla a casa, per sempre. E’ nata una nuova famiglia. Traguardo raggiunto! Inizia la luna di miele.

Cassetta degli attrezzi: pazienza; capacità di autorizzarsi un tempo per la coppia e per i tempi di ognuno; consapevolezza della fase di cambiamento; impegno nel progettare una  nuova famiglia; capacità di favorire l’attaccamento con pensiero riflessivo e orientato; disponibilità a scoprire nuova intimità; capacità di orchestrare nuove modalità per i legami del passato (amici, parenti); disponibilità a lasciarsi aiutare, a non volere fare tutto da soli. Capacità di ridere e di prendere le cose alla leggera; di accettare i propri limiti, la propria stanchezza, la frustrazione, il senso di inadeguatezza. Capacità di dire no a tante persone abituate ai nostri sì. Disponibilità ad accogliere la perdita di anni libertà e di scelte improvvisate (che facciamo stasera? Andiamo al cinema?). E’ strano. Le cose più prevedibili (l’arrivo di un figlio condiziona la vita) sono capaci di sorprenderci e di trovarci impreparati.

In questa fase delicatissima riprende il supporto dei servizi sociali con colloqui di coppia e visite a casa, incontri di gruppo con altri genitori adottivi, incontri tra bambini adottati. Siamo stati aiutati a organizzare la nostra nuova vita, a elaborare le tumultuose emozioni che l’hanno attraversata. La solida rete familiare e di amici ci ha sostenuto nei momenti di sconforto e in quelli di gioia, anche questo è stato fondamentale.

Sono passati sei mesi. La nostra vita ha preso nuovi ritmi, quello che prima era
sconvolgente ora è una piacevole routine. Anche questo, quando le cose vanno bene, è esattamente quello che accade in ogni  famiglia naturale con l’arrivo di un bambino.

Un cambiamento radicale diventa, nel tempo, una nuova ritmica abitudine.

Resilienza. In fisica è la capacità dei materiali di sopportare pressione e deformazione senza spezzarsi; in biologia è la capacità di alcune cellule di auto-ripararsi, tornando allo stato iniziale dopo aver subito un trauma, un danno, una forte sollecitazione. Le persone con una buona resilienza riescono, quando sono immerse in circostanze avverse, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e a raggiungere mete importanti.

La resilienza, tra tutte le risorse della nostra cassetta degli attrezzi, è quella che ci ha aiutato a conquistare, bandierina dopo bandierina, il nostro meraviglioso traguardo.

 

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