Ho educato mio figlio a valori da “pesce fuor d’acqua”

Ho da sempre educato mio figlio Pietro alla tolleranza ed alla solidarietà, ma nessuno dei suoi coetanei ha questi valori, si sente un pesce fuor d’acqua. Come madre mi sento in colpa. Non so come comportarmi con lui, ormai ha quasi quattordici anni. Cosa faccio? Posso dirgli di cancellare tutto quello che gli ho passato?

Elena

risponde Stefano Contardi, educatore e formatore Kaloi

Cara Elena,

I figli si desiderano sereni e quando tale condizione viene a mancare, il cuore si spezza. Il suo dispiacere è compreso e accolto.

I valori sono elementi preziosi dell’esistenza, danno forma e sostanza alla persona, indicano la rotta.

E’ bene che, insieme alla solidità, abbiano elasticità. E’ una questione di ben – essere personale. I bambini interpretano la realtà secondo categorie rigide: bianco o nero, buono o cattivo, giusto o sbagliato; in adolescenza si può iniziare a “vedere e accettare il grigio”, ma si è solo all’inizio di un processo.

Tolleranza e solidarietà convivono con un’amara verità: non sempre e non tutte le condotte umane sono mosse da questi riferimenti valoriali.

Sembra che i coetanei di suo figlio non abbiano tolleranza e solidarietà come elementi distintivi dei loro comportamenti, stridendo con i riferimenti interni di Pietro. Da tale contrasto potrebbero nascere sentimenti di inadeguatezza, causati dal percepirsi diverso dagli altri; delusioni ed arrabbiature, per l’aspettativa infranta di incontrare persone tolleranti, solidali; dubbi amletici, alimentati dalla domanda irrisolta: “perché questa differenza tra me e gli altri?”.

Si dice che la persona sana adulta sia ben integrata e altamente differenziata.  Più semplicemente: un po’ uguale e un po’ diversa, un po’ dentro e un po’ fuori dal gruppo. Una ricerca di equilibrio tra il bisogno di fondersi, appartenere ed il bisogno di separarsi, individuarsi. Un paradosso da tenere insieme. L’adolescenza è solo l’inizio di questo cammino di crescita, lungo una vita.

In adolescenza il sentirsi “parte di un gruppo” è necessità fondamentale, creare relazioni con i coetanei di entrambi i sessi è un compito evolutivo da assolvere.

Può essere utile aiutare Pietro a capire quanto e in che termini questa differenza incida sui suoi bisogni di riconoscimento, di accettazione e stima all’interno del gruppo dei pari. Può essere opportuno verificare che il prezioso valore della tolleranza non venga da lui interpretato, nei fatti, come rinuncia a far valere le proprie esigenze. Che la pregiata solidarietà non venga da lui tradotta in generosità cieca, tale da esporlo al rischio di essere oltremodo usato, sfruttato senza reciprocità. Che tolleranza e solidarietà non siano da lui vissuti come “doveri” per essere amabile e accettabile.

Cara mamma, siamo nel mondo delle considerazioni generali e delle ipotesi; solo il dialogo con Pietro può restituire maggiori informazioni. Cerchi momenti di incontro, si apra alle sue parole, provando a gestire le emozioni positive o negative che risveglieranno in lei. Non è semplice per una madre ma neppure impossibile.

La sofferenza di Pietro è il sintomo, non la causa. Lo scopo della sua presenza adulta dovrebbe essere duplice: facilitarlo nel dar forma e parola al suo malessere; sostenerlo nell’identificare risorse e strategie funzionali ad affrontare il disagio vissuto con i pari. Provi ad ascoltarlo e accoglierlo, favorendo introspezione ed espressione di quanto vive, da mamma intenzionalmente orientata. In modo naturale, senza vestire l’abito della psicanalista o del predicatore in possesso di verità assolute. Lui si sentirà più alleggerito e rassicurato.  Non tutti i mali vengono per nuocere, paradossalmente questa situazione di crisi gli offrirà possibilità per imparare ad ascoltarsi, conoscersi, collocarsi, consolidare la sua resilienza, ossia la capacità di gestire e far fronte a situazioni di fatica.

Gli faccia vivere il suo interesse, a volte con un passo avanti, a volte con un passo indietro, sintonizzandosi con i movimenti del ragazzo. Essendo ormai adolescente, a volte potrebbe tenderle le mani, altre volte spingerla via, mostrando alternanza tra bisogno e rifiuto, apertura e chiusura. Potrebbe essere disorientante per lei.  Metta in conto questa sfida a trovare la giusta collocazione, i giusti tempi.

Lo solleciti a vedere non solo ciò che lo distingue dai suoi  coetanei, ma anche ciò che lo accomuna. Senza sminuire l’importanza  dei pari o screditandoli.  Lo stimoli a comprendere che, forse, sono figli di un’educazione diversa da quella che lui ha ricevuto. Che sono in crescita, come lui. Incontrerà molte persone durante l’esistenza: simili e diversi da lui ma non per questo di minor valore.

A volte gli adolescenti tendono ad assolutizzare, è funzione educativa mitigare certi estremismi.  Assuma parole e gesti che permettano a Pietro di sentirla al suo fianco, ma lui stesso  protagonista della situazione. Questo gli darà modo di consolidare un potere personale positivo, per influire sugli eventi del mondo interiore ed esteriore.

Poi c’è lei. Si sente responsabile come madre, per averlo dotato di valori “anomali” rispetto ai coetanei. I suoi pensieri, i suoi sentimenti e bisogni sono evidentemente intrecciati a quelli di Pietro. Questo è umano, capita sempre, a tutti. D’altronde sarebbe auspicabile sciogliere la treccia e distinguere i fili suoi da quelli di Pietro. Nelle relazioni umane (tanto più in quelle educative) è importante distinguere il “mio problema” dal “suo problema”. Questione di confini.

Infine un mio pensiero, da persona e da cittadino. Osservo dall’alto, distinguo meno l’individuo, vedo meglio la collettività e le esprimo profonda gratitudine per aver dotato Pietro di riferimenti che fanno bene alla salute del nostro sistema sociale. Per l’individuo c’è un prezzo momentaneo da pagare. Verrebbe da dire da tollerare, che ironia!

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