C’è tempo per ogni cosa e ogni cosa ha il suo tempo

di Licia Coppo, pedagogista, formatrice Kaloi e counsellor

“Oh, c’è tempo, c’è tempo”, avrebbe detto mia nonna. Di fronte a una nuova esperienza per un bambino, un gioco, una gita, uno sport, un viaggio, lei avrebbe detto proprio così: “è piccolo, ne ha di tempo davanti!”.  E’ uno dei tanti principi pedagogici che oggi vacillano: il principio della gradualità.

Quella era l’epoca in cui l’unico paio di scarpe per stagione si portava finché le dita non facevano troppo male, in cui i vestiti logori dei fratelli maggiori si usavano con le toppe, in cui si inventavano i giochi con una scatola di cartone, un bastoncino e lo spago.

Quell’epoca non c’è più. Qualcosa abbiamo guadagnato, qualcosa perso. Bruciare le tappe della crescita dei bambini e abbandonare la gradualità delle esperienze è senz’altro una perdita. Per i bambini, soprattutto. Ma anche per i genitori.

Come pedagogista incontro diverse persone, così motivate ad essere buoni genitori da frequentare corsi.  Raccolgo le loro storie, le loro fatiche, il loro disorientamento (mal-orientamento) e i loro autogol. Come quello di iper-attivarsi e iper-attivare i loro figli in esperienze, stimolazioni, sollecitazioni il prima possibile, convinti che questo sia “dar loro il massimo delle opportunità”.

La tendenza comincia già dai primi mesi di vita. Fino a 6 mesi il latte materno ha tutto ciò di cui il bambino ha bisogno per crescere bene. Eppure (anche quando la crescita è progressiva, adeguata, senza disturbi e la madre ha un decolté che potrebbe sfamare due gemelli) non si sa come, verso i 4 mesi si comincia a dare anche un omogeneizzato di frutta a merenda, un po’ di giunta di latte in polvere, magari la prima pappa salata. Il bambino non avrebbe bisogno di altro, oltre al latte della mamma. Eppure, ci sono mamme che mi riferiscono di integrare con la giunta di latte artificiale o il ‘fruttino’ a 4 mesi, sostenendo che il bambino si sta stufando di bere solo il loro latte e così, con l’omogeneizzato, non si annoia e varia un po’.

Si sta stufando del latte materno? Non si annoia e varia un po’?? La noia, in un bambino di 4 mesi?

Sempre mia nonna, pedagogista inconsapevole, diceva che sotto i 9 mesi di vita i bambini “meno li sposti, meglio è”; che devi cercare di dare loro orari e abitudini; che, se si abituano a dormire con una canzoncina, è meglio cantare sempre quella, per ascoltare tutte le sinfonie di Mozart c’è tempo. Oggi, invece, sembra sia diventato fondamentale far sentire tutto Beethoven e Chopin già in culla, per agevolare l’orecchio musicale il prima possibile. Eccolo lì: il prima possibile.

I genitori lo hanno letto da qualche parte, magari su una rivista dove insegnano, anche, che ‘prima si approcciano all’acqua meglio è’ e allora vai! con i corsi di nuoto per neonati.  C’è l’importanza dello sviluppo motorio precoce, e allora vai! con la pre-pre-danza a due anni e mezzo e il baby-baby-calcio a 3 anni. E così il tour diabolico dell’anticipazione delle tappe prosegue inesorabile, con un ritmo frenetico e massacrante. E massacrati non ne escono solo i genitori, che spesso sembrano più taxisti che educatori. Ne escono massacrati i bambini. I bambini hanno anche e soprattutto bisogno di tempi vuoti, di tempo per giocare, disegnare, divertirsi senza averlo programmato, di tempo per correre e sporcarsi, senza uno scopo.

Hanno altrettanto bisogno che non vengano anticipati i loro bisogni. Questo è il principio di gradualità. Vivere le esperienze con gradualità significa poco per volta, quando un bambino ha le competenze emotive e cognitive per cogliere e dare senso all’esperienza.

Un bambino di 3 anni che viene portato a Parigi a Eurodisney, cosa porta a casa dall’esperienza? Sicuramente un’euforia eccessiva;  i  genitori, la fregatura di un biglietto costoso e poco sfruttato. Potrebbe succedere che quel bambino venga anche derubato della gioia delle giostrine sotto casa, insignificanti dopo l’incanto del paese dei balocchi. Con cosa lo intratterremo allora? Ecco che la posta in gioco sale.

Che bisogno ha un bambino di 6 anni di vedere Il Signore degli anelli? O Avatar? Non c’è solo l’aspetto della violenza di alcune scene di battaglia o della paura di immagini con spettri e demoni. C’è soprattutto l’intensità emotiva che quei film possono muovere nel  bambino. Ci sono significati e messaggi che quei film portano con sé ma si possono cogliere solo ad una certa tappa di sviluppo cognitivo. Non prima dei 9 o 10 anni, tanto per dare un po’ i numeri.

Nel libro Ho un sogno per mio figlio, Roberto Gilardi scrive:

Da qui l’idea di recuperare e dare uno o più nomi alla parola “buon senso”. Sì, perché negli anni  in cui veniva comunemente utilizzato in famiglia, era anche l’ingrediente sufficiente ad affrontare una realtà altrettanto semplice e semplificata. Oggi non basta, deve essere in qualche modo recuperato attraverso esemplificazioni concrete, visibili e tangibili, orientate pedagogicamente nella relazione che un genitore ha con il proprio figlio a partire da zero anni. Perché l’educazione è come la distribuzione delle risorse a questo mondo, anche se con numeri esattamente opposti. Il 10% della popolazione detiene l’80% della ricchezza. A spanne. L’80% dei compiti educativi viene svolto nel 10% della vita di un figlio, nei primi undici, dodici, tredici anni di vita. I sette passi, e quindi le sette principali funzioni educative, trovano in questo periodo il loro maggiore investimento. Poi negli anni che seguono, non è ancora il caso di andare in pensione come genitori, si può perfezionare, aggiungere, limare, mantenere. […].

L’80% dei compiti educativi del genitore viene svolto nei primi 13 anni di vita del figlio, non l’80% di attività e stimoli che deve ricevere il figlio! Ci vuole buon senso.

Al tempo della mia nonna si bruciavano foglie e rami secchi nei falò (‘fuochi accesi nei campi’, in dialetto piemontese), oggi sembra diventato un must educativo “bruciare” le tappe di crescita. Ma se a 12 anni nostro figlio si è già fatto 4 volte Gardaland, ha nuotato con le tartarughe in Egitto, ha visto l’aurora boreale al polo nord, ha visto tutti i film di Tarantino e ha già praticato 8 sport differenti, con che cosa lo intratterremo ancora? Quali esperienze saranno ancora sorprendenti, stimolanti, accattivanti e affascinanti per lui? Se poi a 14-15 anni (come avviene) molti ragazzi sono ormai disincantati, annoiati, disillusi o incapaci di sorprendersi, allora qualche domanda, come mondo adulto, dovremmo iniziare a porcela.

C’è tempo, c’è tempo. C’è un tempo per ogni cosa, e ogni cosa ha il suo tempo…

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